Le voci della notte

Sophia Loren

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momolindo
view post Posted on 15/7/2013, 19:06 by: momolindo
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Mai finirà perchè sei parte dei miei ricordi,parte della mia vita e ciò che mi hai dato,ciò che ti ho dato sempre vivrà!

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Mamma Sophia: "Omaggio a Napoli e alle donne: ecco il film con mio figlio"

La Loren sul set a 79 anni per “La voce umana” di Cocteau tradotta da Erri De Luca in napoletano





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Sophia Loren a passeggio per le strade di Napoli






NAPOLI - "Questo film è un omaggio a Napoli, ma prima di tutto al coraggio e alla dignità delle donne. La mia Angela non è una vittima, ma una donna che si batte per il suo amore». Sono trascorse ventiquattro ore dall’ultimo ciak, Sophia Loren torna a respirare dopo il bagno di folla che l’ha accolta nei vicoli del Pallonetto a Santa Lucia per la fine delle riprese di "La voce umana". Il corto, diretto dal figlio Edoardo Ponti, tratto dalla pièce di Jean Cocteau, è stato tradotto in napoletano e adattato da Erri De Luca che firma la sceneggiatura con Ponti. La storia è ambientata quasi tutta all’interno di una camera da letto creata negli studi De Paolis a Roma da Maurizio Sabatini, alla fotografia c’è il messicano Rodrigo Prieto, costumi firmati dal napoletano Mariano Tufano.


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La Loren è al solito altera nella sua sensualità mediterranea. A 79 anni, l’attrice è stata sempre la prima e l’ultima ad andare via dal set, per concentrarsi sul copione che lei stessa ha voluto in napoletano. Il film, prodotto dalla MasiFilm del 35enne Massimiliano Di Lodovico, sarà presentato in autunno probabilmente al Teatro San Carlo e a Parigi per i 50 anni della morte di Cocteau.


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Signora Loren, aveva 14 anni quando Anna Magnani portò sul grande schermo "La voce umana" diretta da Rossellini. Perché ha scelto questo testo?

«Quella magistrale interpretazione è stata uno dei motivi che mi hanno spinto a diventare attrice. Il ruolo di Angela era un sogno che avevo da quarant’anni. E mio figlio durante la preparazione mi ha proibito di rivedere il film con la Magnani».

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Che sensazione ha provato ad essere diretta da suo figlio?
«Emozione: Edoardo mi ha voluto fare un regalo straordinario, ha pensato a questo film per farmi sentire al cento per cento me stessa. C’è voluta molta concentrazione, nel personaggio di Angela c’è tutta la mia vita. Ho affrontato una preparazione dura: io che in genere ho sempre recitato in maniera istintiva, per questo ruolo ho studiato più di un mese».

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E’ sempre attuale il testo di Cocteau?
«Come nella pièce, il film si svolge in una camera da letto, Angela è al telefono con il suo amore che l’ha lasciata, la voce dell’uomo (Enrico Lo Verso, ndr) non si sente mai. Lei è forte, è più intelligente di lui che è fuggito e schiva le sue domande. Volevamo raccontare una storia di una donna determinata, in un periodo nel quale si parla spesso di violenza sulle donne».

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Gli esterni sono stati girati per la maggior parte nella sua Napoli: Palazzo Reale, Palazzo dello Spagnuolo rione Sanità e Santa Lucia.

«Nel film c’è la Napoli degli anni Cinquanta che ho conosciuto nella mia adolescenza. Napoli mi ha accolto con tutto il suo affetto, ma anche con grande garbo e rispetto. Le scene esterne sono flashback della vita passata di Angela, Edoardo ha voluto che ci fossero lampi di memorie e gesti che ogni innamorato ha potuto vivere almeno una volta».


Come è stato lavorare su Cocteau in napoletano?

«Oltre ad essere un narratore straordinario, Erri De Luca conosce profondamente la lingua napoletana al punto da conservare immutata la poetica del drammaturgo francese. E io ci tenevo a recitarlo in napoletano perché a differenza del francese e dell’italiano è una lingua viscerale ed anche perché mi ricorda l’infanzia».


E’ stata a Napoli per tre giorni: quali luoghi ha voluto vedere a fine riprese?

«Sono andata a vedere la strada dove sono cresciuta a Pozzuoli, in via Solfatara, è sempre la stessa. Mi sono commossa, sono tornati tanti ricordi. Con me è venuto Edoardo, è stato un momento molto intenso».


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Il film è prodotto da un giovane, che rapporto ha una diva come lei con le nuove generazioni?
«Dai giovani arriva nuova linfa per il cinema, anche se vanno incoraggiati: Massimiliano sul set a Roma, ad esempio, mi sfuggiva, ho saputo che era imbarazzato e non veniva mai a presentarsi. Allora sono andata da lui, gli ho dato un pizzicotto sulla guancia e mi sono presentata io…».




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Napoli in delirio per Sofia Loren
«Sei il nostro orgoglio»



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NAPOLI - Quando la Loren scende dall’auto, dai balconi di via Solitaria pieni come i palchi di un teatro scatta l’applauso: «Sofì, sei sempre bella, si’ ’o core ’e Napule!». Quando comincia a girare, passeggiando con Enrico Lo Verso, dalla folla di curiosi assiepati dietro la macchina da presa parte un entusiastico «Buona la prima!» che fa sorridere il regista Edoardo Ponti.


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L’aspettano per ore, Sofia Loren, in quella strada antica a ridosso di piazza del Plebiscito e del Pallonetto che la mano sapiente dello scenografo Maurizio Sabatini ha trasformato in un vicolo degli anni Cinquanta: di qua la bancarella con la trippa e ”’o pere e ’o musso”, di là il carretto con i peperoni gialli e rossi, e poi un povero bar all’aperto con la ghiacciaia per le bibite e le sedie di ferro impilate una sull’altra e il basso scuro trasformato in negozietto di frutta e verdura.



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Dai balconi sventolano panni stesi a nascondere tabelle e condizionatori, i segni della modernità. Passano le comparse vestite da povericristi con la maglia bucata e la coppola in testa, passa una donna con la sporta della spesa di pelle sdrucita sottobraccio e un giovanotto in sella a una Vespa scatarrante. Passano e spassano i curiosi, con la scusa di dover rientrare a casa, arrivano a frotte gli scugnizzi con i capelli a cresta di gallo come Hamsik.

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E poi passa lei, con il tailleurino beige e la sciarpa a pois, i capelli raccolti come si portavano allora, bassi sulla nuca, e la celebre falcata dell’«Oro di Napoli». Cammina sottobraccio a Lo Verso e a volte gli cinge le spalle affettuosa, lui le offre un «coppo» di frattaglie, piccole prelibatezze di un’altra cucina e di un’altra epoca più semplice e meno esigente. Un ciak, due, tre: comincia a piovere, ma non importa, la gente resta là, spintonandosi allegramente perché vuole vedere Sofia Lorèn diretta dal figlio Edoardo. Ad ogni pausa la chiamano a gran voce, la invocano come una madonna pellegrina: «Sofì, sei l’orgoglio di Napoli».

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Lei ringrazia con la mano e manda baci alla gente affacciata ai balconi, saluta gli agenti del servizio d’ordine e le comparse prima di infilarsi nella Mercedes con i vetri oscurati che la riporterà a Roma.
Ultimo giorno di riprese del film «La voce umana», ispirato alla famosa pièce di Jean Cocteau e già portato sullo schermo da Anna Magnani in un episodio di «Amore».


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Ma qui, nella versione intelligente di Edoardo Ponti, il testo è stato tradotto in napoletano e adattato per il grande schermo da Erri De Luca, e la voce della storia - un monologo straziante sulla fine di un amore - viene accompagnata dalle voci dell’intera città che si fanno coro e memoria, dando forza ai ricordi e alla passione. Una produzione giovane e indipendente, la Masi Film, per un cast tecnico di prim’ordine, con il direttore della fotografia di Ang Lee e di Scorsese, Rodrigo Prieto, lo scenografo Maurizio Sabatini come s’è detto, l’arredatore Maurizio Di Clemente e il costumista Mariano Tufano.

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Tre settimane di lavorazione, tra Roma per gli interni, Ostia e Napoli, 25 minuti la durata di un film destinato a girare il mondo. Piove ancora, una pioggerella sottile, quando il regista annuncia alla troupe e al vicolo la fine delle riprese, prima di un ultimo ciak senza attori nel magnifico Palazzo dello Spagnolo, nel rione Sanità. La gente rompe le righe e riempie il set, come in una pacifica invasione di campo per un ultimo sorriso, un ultimo sguardo.


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Edoardo, che effetto le fa questo bagno di folla? Il ritorno di Sofia Loren per i napoletani è sempre un’emozione.
«Ma lei non è mai veramente partita da Napoli, ci viene spesso e la porta nel cuore. In un modo o nell’altro Napoli è sempre nella nostra vita».

Si dice che lei intenda il film come un atto d’omaggio a sua madre. È così?
«Sì, è un omaggio con tanti destinatari: a mia madre, alla città, all’amore e soprattutto alle donne, che stanno vivendo, specialmente in Italia, un momento molto difficile».

Si riferisce ai troppi casi di violenza, alla terribile escalation del femminicidio.
«Certo, e penso sia importante sensibilizzare il pubblico su storie di donne, mostrare la loro forza, il loro carattere nell’amore, dire che sì, una donna può soffrire per amore, ma può avere anche il coraggio di reagire».

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È quello che accade nel film?
«Proprio così, il nostro racconto non ha un finale tragico, la protagonista riprende in mano la sua vita. Ed è questa la differenza sostanziale con la grande performance della Magnani: in quel caso si vedeva una donna rassegnata, qui c’è una persona capace di battersi per il suo uomo. È come in una gara di atletica: il primo passo cambia tutto».

Quali indicazioni di regia ha dato allora a sua madre?
«Le ho detto: ”Non sei una vittima, sei tu la parte forte della coppia”. Ed è così. Lei è anche più intelligente del suo partner, e quando lui divaga e svia la conversazione per non affrontare argomenti dolorosi, finge di non capire. Ma sa. E sa che amarlo è la sua debolezza».

L’uomo, però, non ci fa una gran figura.
«Non voglio renderlo antipatico. È un uomo: un giorno ama e un giorno non ama più. La psicologia maschile è semplice, nei sentimenti. La donna, tra le altre cose, paga le conseguenze del suo sentire più appassionato e complesso».

Alla fine?
«Alla fine devo rispettare il testo. Ma diciamo che ”interpreto” Cocteau».

Dal sodalizio con Erri De Luca era già nato un corto molto bello e molto premiato, «Il turno di notte lo fanno le stelle». Ora su quali linee vi siete mossi?
«La traduzione di Erri ha totalmente cambiato il carattere della protagonista. Vede, il francese è una lingua che si parla dalla testa in giù, è analitico, il napoletano si parla dallo stomaco in su, è viscerale e dà alle parole una forza nuova. Erri ha fatto un lavoro splendido regalando al testo una poesia, un’energia e una delicatezza speciali».


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Le voci di Napoli hanno fatto il resto.
«Abbiamo realizzato un film da un monologo, ed è la cosa più importante. Creando tanti strati, come in una parmigiana di melanzane: c’è la lunga telefonata d’addio, e poi c’è Napoli con le sue voci. Ho pensato che non avremmo potuto ambientare altrove questa storia. È sempre necessario trovare un linguaggio che metta a proprio agio l’interprete e lo aiuti a tirar fuori i sentimenti profondi. In questo caso ancora di più. E la lingua di mia madre è il napoletano. Dovevamo tornare all’originale, a Sofia scritto con la ”effe”».

Le ha dato qualche indicazione, allora, Sofia?
«Le sue indicazioni sono gli sguardi. Mamma arriva a dei momenti di verità, nel film, rari da vedere al cinema. Ha dato tutto».

E lei, quali indicazioni si è dato?
«Mi sono detto: il dramma è nel testo, il nostro lavoro dovrà far emergere il romanticismo e la sensualità dell’amore. Il pubblico deve pensare che per passione vale sempre la pena di battersi e di soffrire».


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Come sono stati i giorni di riprese napoletane per Sofia Loren?
«Di enorme commozione. Per essere di nuovo qui, tra la sua gente, e per il ruolo. Ci pensava da quarant’anni, voleva farlo con tutta se stessa. Ma quarant’anni fa, nel pieno della giovinezza, forse non sarebbe stata credibile: quale uomo degno di questo nome avrebbe lasciato la Loren? Noi invece raccontiamo il dramma di una donna matura di fronte all’amore. Sa che è l’ultimo. E non vuole perderlo».

Sua madre è un’attrice leggendaria. Le ha mai dato preoccupazione confrontarsi con il suo mito?
«È soprattutto un’attrice di grande rigore. Prima di cominciare abbiamo provato per un mese. Non lo aveva mai fatto. Ma qui non poteva affidarsi solo all’istinto, avrebbe avuto la stessa nota emotiva, la stessa sensualità. Mamma ha 78 anni e ancora ci credi che è una donna romanticamente attiva. E l’idea mi piace moltissimo. Un altro modo per rendere omaggio alle donne».

Un bilancio, a riprese finite?
«Sono molto fiero di ciò che ha fatto mia madre. Ma questo lo sapevo già. Ora il mio problema sarà di renderla fiera».
 
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